maria, angelina e rosalia di girolamo

mercoledì 20 giugno 2012

omaggio al polaco goyeneche


Ballada para un loco

Tango 1969

Astor Piazolla

Horacio Ferrer

Recitado
Las tardecitas de Buenos Aires tienen ese qué sé yo, ¿viste? Salís de tu casa, por Arenales. Lo de siempre: en la calle y en vos. . . Cuando, de repente, de atrás de un árbol, me aparezco yo. Mezcla rara de penúltimo linyera y de primer polizonte en el viaje a Venus: medio melón en la cabeza, las rayas de la camisa pintadas en la piel, dos medias suelas clavadas en los pies, y una banderita de taxi libre levantada en cada mano. ¡Te reís!... Pero sólo vos me ves: porque los maniquíes me guiñan; los semáforos me dan tres luces celestes, y las naranjas del frutero de la esquina me tiran azahares. ¡Vení!, que así, medio bailando y medio volando, me saco el melón para saludarte, te regalo una banderita, y te digo...
Cantado
Ya sé que estoy piantao, piantao, piantao...
No ves que va la luna rodando por Callao;
que un corso de astronautas y niños, con un
vals,
me baila alrededor... ¡Bailá! ¡Vení! ¡Volá!
Ya sé que estoy piantao, piantao, piantao...
Yo miro a Buenos Aires del nido de un gorrión;
y a vos te vi tan triste... ¡Vení! ¡Volá! ¡Sentí!...
el loco berretín que tengo para vos:
¡Loco! ¡Loco! ¡Loco!
Cuando anochezca en tu porteña soledad,
por la ribera de tu sábana vendré
con un poema y un trombón
a desvelarte el corazón.
¡Loco! ¡Loco! ¡Loco!
Como un acróbata demente saltaré,
sobre el abismo de tu escote hasta sentir
que enloquecí tu corazón de libertad...
¡Ya vas a ver!



Recitado
Salgamos a volar, querida mía;
subite a mi ilusión super-sport,
y vamos a correr por las cornisas
¡con una golondrina en el motor!
De Vieytes nos aplauden: “¡Viva! ¡Viva!”,
los locos que inventaron el Amor;
y un ángel y un soldado y una niña
nos dan un valsecito bailador.
Nos sale a saludar la gente linda...
Y loco, pero tuyo, ¡qué sé yo!:
provoco campanarios con la risa,
y al fin, te miro, y canto a media voz:Cantado
Cantado
Quereme así, piantao, piantao, piantao...
Trepate a esta ternura de locos que hay en mí,
ponete esta peluca de alondras, ¡y volá!
¡Volá conmigo ya! ¡Vení, volá, vení!
Quereme así, piantao, piantao, piantao...
Abrite los amores que vamos a intentar
la mágica locura total de revivir...
¡Vení, volá, vení! ¡Trai-lai-la-larará!
Gritado
¡Viva! ¡Viva! ¡Viva!
Loco el y loca yo...
¡Locos! ¡Locos! ¡Locos!
¡Loco el y loca yo
Recitato:
I pomeriggi di Buenos Aires hanno quel chè ne sò, vedi? Esci di casa, per Arenales.
Il solito: nella strada e in te … quando, ad un tratto, da dietro un albero, esco io.
Misto raro di penultimo linyera e primo clandestino nel viaggio a Venus: mezzo melone nella testa, le righe della camicia dipinte sulla pelle, due mezze suole inchiodate ai piedi e una bandierina di taxi libero in ogni mano. Ridi! ... ma sei solo tu che mi vede: perché i manichini mi fanno l’occhiolino; i semafori mi danno tre luci celesti, e le arance del fruttivendolo all’angolo mi butano i loro fiori Vieni!, che così, un po’ ballando e un po’ volando, mi tolgo il melone per salutarti, ti regalo una bandierina, e ti dico….
Cantato:
So già che sono impazzito, impazzito, impazzito …
Non vedi che la luna va girando per Callao (1)
Che una moltitudine d’astronauti e bimbi, con un vals,
mi ballano attorno … Balla! Vieni! Vola!
So già che sono impazzito, impazzito, impazzito …
Io guardo Buenos Aires dal nido di un passerotto;
e ti ho vista così triste … Vieni! Vola! Senti!
la pazza illusione che ho per te:
Pazzo! Pazzo! Pazzo!
Quando imbrunisce nella tua solitudine porteña,
dalla riva del tuo lenzuolo io verrò
con un poema e una trombone
a svegliarti il cuore.
Pazzo! Pazzo! Pazzo!
Come un acrobata demente salterò
sopra l’abisso della tua scollatura fino a sentire
che ho fatto impazzire il tuo cuore di libertà …
Già lo vedrai!


 
Recitato:
Usciamo a volare, cara mia;
sali sulla mia illusione super-sport,
e andiamo a correre per i cornicioni
con una rondine nel motore!
Da Vieytes (2) ci applaudono: “Viva! Viva!”,
i pazzi che inventarono l’Amore;
e un angelo, e un soldato e una bimba
ci regalano un valsecito ballatabile.
Esce a salutarci la gente bella…
E pazzo, ma tuo, chè ne sò io!:
provoco campanili con le risate
e alla fine, ti guardo, e canto a mezza voce:
Cantato:
Amami così, impazzito, impazzito, impazzito …
Arrampicati nella tenerezza da pazzi che c’è in me,
mettiti questa parrucca di allodola, e Vola!
Vola con me già! Vieni, Vola, Vieni!
Amami così, pazzo, pazzo, pazzo …
Apriti agli amori che ora andremmo a provare
la magica pazzia totale di ricominciare a vivere …
Vieni, Vola,Vieni! ¡Trai-lai-la-larará!
Urlato
¡Viva! ¡Viva! ¡Viva!
Pazzo lui e pazza io…
Pazzi! Pazzi! Pazzi!
Pazzo lui e pazza io!

(1) Callao, via di Buenos Aires che attraversa il centro della città

(2) Vieytes, paese della provincia di Buenos Aires

alle 2 del mattino,sveglio con questa canzone nello stomaco

Los Mareados

Tango 1942
Música : Juan Carlos Cobiàn       Letra : Enrique Cadicamo
Rara..
como encendida
te hallé bebiendo, linda y fatal...
Bebías, y en el fragor del champán,
loca, reías por no llorar...
Pena...me dio encontrarte
pues al mirarte yo vi brillar
tus ojos con un eléctrico ardor,
tus bellos ojos que tanto adoré...
Esta noche, amiga mía,
el alcohol nos ha embriagado...
¡Qué importa que se rían
y nos llamen los mareados!
Cada cual tiene sus penas
y nosotros las tenemos...
Esta noche beberemos
porque ya no volveremos
a vernos más...

Hoy vas a entrar en mi pasado,
en el pasado de mi vida...
Tres cosas lleva mi alma herida:
amor... pesar... dolor...
Hoy vas a entrar en mi pasado,
y hoy nuevas sendas tomaremos...
¡Qué grande ha sido nuestro amor!...
Y, sin embargo, ¡ay!,
mirá lo que quedó...
Strana...
come infiammata
ti ho trovato bevendo, bella e fatale...
Bevevi, e nel fragore dello champagne
pazza ridevi, per non piangere.
Sentii pena ad incontrarti
giacché al guardarti vidi brillare
i tuoi occhi, con elettrico ardore,
quegli occhi neri che ho tanto adorato..
Stanotte, amica mia,
l’alcool ci ha ubriacato.
Che m’importa se ridono
e ci chiamano sbronzi!
Ognuno ha le sue pene,
e pure noi le abbiamo,
stanotte berremo,
perché non torneremo
a rivederci mai più.
Oggi entrerai nel mio passato,
il passato della mia vita...
Tre cose porta la mia anima ferita:
amore, dispiacere, dolore
Oggi entrerai nel mio passato
prenderemo nuove strade...
Quant’é stato grande il nostro amore!
eppure,
guarda cosa ne é rimasto...!


lunedì 18 giugno 2012

fatmah-almamegretta


"Fatmah" (traccia numero 7 di LINGO ALMAMEGRETTA 1998) è ispirata al romanzo di Sélim Nassib "OUM" tradotto in italia con il titolo di TI HO AMATA PER LA TUA VOCE. Il romanzo è incentrato sulle figure del grande poeta egiziano Ahmed Rami e della cantante, anch'essa egiziana, Umm Kalthum la "stella d'oriente" la luminosa icona della musica araba fra gli anni venti e gli anni settanta. TI HO AMATA PER LA TUA VOCE è la storia dell'amore appassionato ma mai ricambiato del poeta per la cantante. Ahmed Rami compose 137 testi delle 283 canzoni cantate da Umm Kalthum nell'arco di cinquant'anni.
TI HO AMATA PER LA TUA VOCE è appunto il titolo di una notissima canzone di Rami, cantata da OUM il cui vero nome era appunto FATMAH


La cantante Oum Kalthoum: “Stella dell’Oriente”


Scritto da Arch. Anwar Chadli
Oum Kalthoum
Oum Kalthoum
Oum Kalthoum (il suo nome completo: Oum Kalthoum Ibrahim al-Sayyid al-Baltaji) nacque nel 1904 in un piccolissimo villaggio egiziano del Delta del Nilo, da un’umile e devota famiglia di agricoltori. Il padre, che fu il suo primo insegnante di canto, era l’Imam* della moschea del villaggio in cui lei cantava in occasione di avvenimenti religiosi. Cominciò la sua carriera in tenera età e, come per la maggior parte degli artisti nati nelle zone rurali, il canto era principalmente costituito da canzoni religiose.
Fu così che Oum Kalthoum, a circa dieci anni, vestita da beduino, iniziò a girare per i villaggi insieme al padre ed al fratello. Con loro portò per anni la parola del Profeta tra i poveri dei villaggi della zona, creandosi velocemente una buona reputazione di cantante.
Nel 1923 la famiglia decise di trasferirsi al Cairo per offrire maggiori possibilità alla figlia, che fu subito notata per la bellezza della sua voce; tuttavia il suo stile troppo campagnolo e desueto non le permise di ottenere subito un gran successo. Oum Kalthoum decise allora di seguire dei corsi di canto e di poesia e di assumere una truppa di musicisti per accompagnare la sua magnifica voce. Con questa nuova formula ed un’accresciuta maturità artistica, Oum Kalthoum diventò velocemente popolare.
Nel 1928 finalmente, raggiunse la celebrità grazie all’innovazione della radio: la sua voce straordinaria ebbe una grandissima diffusione. Le sue canzoni iniziarono ad essere trasmesse tutti i giovedì sera da un piccolo programma radiofonico, finché lei divenne, nel 1934, l’artista più trasmessa dalla Radio Nazionale Egiziana. Il successo le permise di prendere in mano le redini della sua carriera; dal 1938, infatti, Oum Kalthoum cominciò a prodursi da sola e a negoziare i suoi contratti. In questo periodo le sue canzoni erano musicate dal compositore Muhammad Al-Qasbaji e scritte da un gran poeta, Ahmad Rami, il quale l’amò (pare non ricambiato) di un amore forte e sincero per tutta la vita .
Alta, dalla capigliatura nera e con una forte personalità, ai concerti affascinava gli ascoltatori con il timbro inconfondibile e inimitabile della sua voce e gettava il pubblico in un delirio di rapimento estatico. Le sue canzoni erano per lo più poemi epico-lirici che duravano tra i 30 e i 60 minuti; c’era, generalmente, un’introduzione strumentale di circa dieci minuti al cui termine faceva ingresso lei, regalmente accolta da fragorosi applausi. La sua voce impostata, sonora, melodiosa, piacevole era maestra nell’arte dell’interpretazione e sempre riusciva a coinvolgere il pubblico che, entusiasta, irrompeva, durante i numerosi concerti, in risonanti applausi e commenti di pura commozione.
Oum Kalthoum, colei che poteva, con la sua straordinaria voce, spingere gli ascoltatori a ridere o portarli alle lacrime, divenne verso la fine degli anni ’40 il simbolo della canzone araba e, da allora in poi, la sua vita venne identificata con la storia dell’Egitto moderno. La sua fama, seconda solo a Nasser, era tale che le notizie politiche importanti erano mandate in radiodiffusione prima dei suoi concerti. Negli anni ’50 l’Egitto aveva due sole incontrastate guide: l’eroe carismatico Gamal Abdel Nasser e “la sfinge eterna”, la “Stella dell’Oriente”, Oum Kalthoum, signora senza figli, ma madre di tutto l’Egitto.
Nel 1954 si sposò con il dottore Hassan El- Hifnawi, mettendo fine ad una lunga serie di scacchi sentimentali, di progetti di matrimonio abortiti, di cui uno con Sharif Sabri Pasha, lo zio del re Faruk, che chiese la sua mano, ma dovette ritrarsi in seguito alla pressione della famiglia reale, e di un matrimonio annullato dopo pochi giorni con uno dei suoi musicisti Mahmoud Sharif. In questo periodo si circondò di nuovi ed affermati musicisti come Zakariya Ahmad e Muhammad Abdel Wahab.
Tra il ’50 ed il ’60, gli anni del suo più alto splendore artistico, fu soprannominata “Ambasciatrice dell’arte araba” e la sua importanza era tale che ovunque veniva accolta con cerimoniali degni di capi di stato.
Agli inizi degli anni ’70 la sua salute, già delicata, andò peggiorando, perturbando sempre di più la sua vita professionale e spesso costringendola ad annullare dei concerti. Il 21 gennaio 1975 Oum Kalthoum fu colpita da un malore violento che la portò alla morte il 3 febbraio dello stesso anno, mentre i giornali e la radio di tutto il mondo arabo informavano gli ascoltatori minuto per minuto sulle sue condizioni di salute.
Il suo canto sublime è stato applaudito in tutte le regioni d’Egitto ed in tutto il mondo arabo. Ha cantato per celebrare la fusione tra Siria ed Egitto, per il crollo della monarchia irachena, per la sottratta Palestina e per le donne libiche; ha cantato per gli uomini che lavoravano negli sperduti cantieri del deserto, per i contadini divenuti operai, costruttori e soldati. Ognuno poteva in quella voce sentire la propria sofferenza, il proprio passato, il proprio presente, la propria patria, ognuno poteva, in quella voce, sentire se stesso.
Duecentottantacinque sono le stupende canzoni del repertorio di Oum Kalthoum che, tutt’oggi, rimane la rappresentante più ammirata e conosciuta della tradizione classica della musica araba. La sua notorietà e l’amore sincero che migliaia di persone provavano per lei, fece sì che nemmeno la morte poté diminuire la sua fama che, ben presto divenne mito. Oggi nel 2002, a 27 anni di distanza dalla sua morte, si ricorda ancora quel triste mese di febbraio che volle portar via, lei, la venere egiziana della musica. Nel 1975, tutti furono presenti al suo funerale: stelle del cinema, poeti, ambasciatori, ministri. Più di tre milioni di ammiratori che, in lacrime, volevano dare a Oum Kalthoum l’ultimo arrivederci. In realtà il funerale non fu l’ultimo saluto. Oggi, alle dieci di sera di tutti i primi giovedì del mese, in Egitto si ripete il rito dell’ascolto, sempre con quell’ammirazione, devozione e rispetto concessi solo ai grandi che hanno fatto la vera Storia. Inoltre il 28 dicembre 2001 al Cairo è stato inaugurato un museo dedicato alla musica e alla vita di questa grande cantante.

frammenti di eduardo galeano


Il  Viaggio

Oriol  Vall,che si occupa di neonati in un ospedale di Barcellona, dice che il primo gesto umano è l’abbraccio. Dopo essere venuti al mondo, al principio dei loro giorni, i bambini agitano le mani, come per cercare qualcuno.

Altri medici, che si occupano di quelli che hanno già vissuto, dicono che i vecchi, alla fine dei loro giorni, muoiono cercando di alzare le braccia.

Ed è così, per quanto ci pensi su, e per quante parole si utilizzino. A questo atto, semplicemente, si riduce tutto: fra due battiti d’ali, senza altre spiegazioni, trascorre il viaggio.





Storia clinica

Rese noto di soffrire di tachicardia ogni volta che lo vedeva, sia pure da lontano.

Dichiarò che le si seccavano le ghiandole salivari quando lui la guardava, se pure di sfuggita.

Ammise una ipersecrezione delle ghiandole sudoripare ogni qualvolta lui le parlava, sia pure per ricambiare il saluto.

Riconobbe di soffrire di gravi sbalzi di pressione quando lui la sfiorava, sia pure per errore.

Confessò che per lui soffriva di capogiri, che le si annebbiava la vista, che le si afflosciavano le ginocchia, che di giorno non riusciva a smettere di dire scemenze e che di notte non riusciva a dormire.

“E’ stato tanto tempo fa, dottore”, disse. “Non ho più provato nulla di simile.”

Il medico inarcò le sopracciglia: “Non ha mai più provato nulla di simile?”

E fece la diagnosi: “Il suo caso e grave”.



Il padre



Vera non andò a scuola. Rimase tutto il giorno chiusa in casa. Al tramonto scrisse una lettera a suo  padre. Il padre di Vera era molto malato, all’ospedale. Lei gli scrisse: “Ti dico che devi volerti bene, avere cura di te, proteggerti, coccolarti, apprezzarti, amarti, godere. Ti dico che ti voglio bene, che ho cura di te, che ti proteggo, che ti coccolo, che ti apprezzo, che ti amo, che ti godo”.

Héctor Carnevale resistette ancora alcuni giorni. Poi, con la lettera di sua figlia sotto il cuscino, se ne andò nel sonno.





Eduardo Galeano-Le labbra del tempo-Sperling & Kupfer editori-2004