maria, angelina e rosalia di girolamo

martedì 31 luglio 2012

E' più criminale fondare una banca che rapinarla...



Io ho un carattere socievole e mi piace ridere e scherzare. Odio la volgarità, la prepotenza e l'ipocrisia.
Dopo tanti anni di galera, ho acquisito la tendenza a rinchiudermi in me stesso per coltivare i miei sogni, i miei progetti, le mie speranze. Insomma, sono diventato un po’ “orso”, ma appena ho a che fare con persone vive e leali, mi apro completamente. Non è facile sopravvivere in queste paludi d’opportunismo e rassegnazione riuscendo a salvaguardare la propria personalità. Ci si riesce a condizione d’ergere steccati immaginari tra se e gli altri, tra se e l’ambiente.
Io credo d’essere riuscito a mantenermi integro e ci sono riuscito perché ho avuto la fortuna di vivere rapporti intensissimi con compagni e compagne che, da fuori, non mi hanno mai fatto mancare la loro amicizia, il loro affetto, il loro amore.
Ci sono riuscito perché da prigioniero sono sempre riuscito a difendere alcuni spazi inviolabili quali la dignità, l’orgoglio e il rispetto in me stesso.
La difesa quasi trentennale della propria integrità è stata la lotta più dura e silenziosa. Il resto, i fatti di cronaca, le lotte, le evasioni riuscite e quelle tentate, sono episodi importanti ma non determinanti all’interno d’un percorso esistenziale complessivo...
Quando qualche secolo fa iniziai a rapinare le mie prime banche mi trovai subito appiccicato addosso i soprannomi "Il rapinatore gentile", "Il rapinatore solitario" e "La primula rossa".
"Rapinatore solitario" perché le banche le rapinavo da solo. "Primula rossa" per l'inventiva (scarsa) di un giornalista che aveva intervistato mio padre durante la mia latitanza. Ma perché "rapinatore gentile"?
Ecco, la spiegazione di questo e il racconto di alcuni particolari inerenti al mio "stile" di rapinare le banche...
Intanto, perché ad un certo momento mi sono messo a rapinare banche e perché solo banche? E perché le rapinavo da solo?
In realtà, dopo aver letto le vicende della "Banda Bonnot" e anche Brecht ("E' più criminale fondare una banca che scassinarla"), parlai con alcuni compagni anarchici del mio progetto di rapinare (allora non si diceva ancora "espropriare", al '68 mancavano alcuni anni...) banche per rivitalizzare economicamente la stampa anarchica. Fui quasi preso per un pazzo. Se non fossi stato il figlio di Libero, m'avrebbero persino preso per un provocatore.
Allora, mi misi a rapinare banche da solo.
Come le rapinavo le banche?
Prima studiavo attentamente le strade del posto. Cercavo sempre le banche periferiche o situate in piccole città. Cercavo di capire dove ci sarebbero stati i primi posti di blocco e cercavo stradine periferiche, deviazioni, per non dover passare in quei punti "caldi". Se possibile, dopo pochi Km. abbandonavo la macchina in un posto dove non l'avrebbero trovata subito e prendevo un pullman oppure un autobus e mi portavo fuori dalla "zona calda".
Una volta rapinai una banca in provincia di Bergamo, sulla strada che da Bergamo scende ad Iseo. Il paese era Tagliuno. Rapinata la banca, scappai verso Iseo. Prima d'entrare in Iseo lasciai la macchina in un garage, dicendo di cambiare l'olio e di lavarla, affermando che sarei passato a riprenderla dopo alcune ore. Poco lontano c'era una fermata dell'autobus. Presi l'autobus e rifeci a ritroso la strada fatta per scappare. Arrivati a Tagliuno, davanti alla banca che avevo rapinato quindici minuti prima, c'erano i carabinieri e una gran folla. La gente sull'autobus faceva commenti pesanti e una signora accanto a me disse che ci voleva la pena di morte per chi rapinava banche... ed io le davo ragione. Arrivato alla stazione degli autobus di Bergamo salii su un pullman diretto a Milano. In quel periodo autobus e pullman di linea non venivano fermati ai posti di blocco, a meno che non si fosse trattato di fatti gravissimi.
Ma perché "rapinatore gentile"? Perché non urlavo e mi rivolgevo agli impiegati fermamente ma con gentilezza, spesso scherzando per sdrammatizzare. Perché se nella banca c'era gente aspettavo pazientemente il mio turno, facendo finta di controllare delle cifre su di un foglio, finché la banca si svuotava. Allora mi avvicinavo alla cassa poggiavo la mia borsa sul tavolo e, al posto di una cambiale da pagare tiravo fuori la pistola e, tranquillamente dicevo all'impiegato: "Stai assolutamente calmo e non ti succederà nulla. Prendi tutti i soldi che hai in cassa e poggiali sul banco". Gli altri impiegati non si accorgevano subito di ciò che succedeva. Quando realizzavano che c'era una rapina, alzavano subito le mani, allora io gli dicevo di poggiare le mani sul tavolo, di stare tranquilli, di comportarsi normalmente. Se per caso fosse entrato un cliente mentre la rapina era in corso, cosa che è successa molte volte, non si sarebbe accorto che era in corso una rapina. Poi quando arrivava vicino a me, gli mostravo la pistola e anche a lui dicevo di stare tranquillo e lo facevo andare in un angolo lontano dalla porta d'uscita. Quando mi avevano consegnato i soldi, dicevo a tutti di stendersi per terra e di non alzarsi per cinque minuti, che c'era un mio complice, fuori, che sarebbe intervenuto se si fossero alzati prima dei cinque minuti e lui non era così tranquillo come me...
Solitamente, aspettavano realmente i cinque minuti. A volte entrava un cliente e vedendo gli impiegati per terra, era lui a dare l'allarme.
Una volta, durante una rapina, un’impiegata ebbe un lieve malore per la paura. Il giorno dopo sul giornale lessi le sue generalità e tramite la Fleurop le mandai un mazzo di fiori scusandomi per la paura che le avevo causato.
Ecco, così nacque il "Rapinatore gentile".
Ma la mia gentilezza è innata, non affettata. Diciamo che sono gentile per natura, fa parte del mio carattere e quindi traspare anche in situazioni anomale nelle quali, normalmente, la gentilezza non dovrebbe avere diritto di cittadinanza...

horst fantazzini

horst fantazzini rapinatore per scelta



...era un mondo adulto, si sbagliava da professionisti...( paolo conte )


foto di gruppo della famiglia fantazziniFoto di gruppo della famiglia Fantazzini, 1940

Nacque ad Altenkessel (regione della Saar, Germania, al confine con la Francia) il 4 marzo 1939, da Alfonso "Libero" Fantazzini, partigiano anarchico bolognese, muratore; e Bertha Heinz, operaia.
Horst significa "rifugio": questo nome fu scelto dal padre, rifugiato politico.
Libero riuscì ad occuparsi a malapena della sua famiglia, costretto in una condizione di eterno latitante, rapinatore per finanziare la resistenza, era ricercato dalle polizie fasciste di mezza Europa, Gestapo compresa.
La sorella maggiore di Horst, Pauline, fu spedita a Bologna dai parenti prima della fine della guerra.
Bertha cercò di sopravvivere e di mantenere il piccolo Horst lavorando al mercato ortofrutticolo di giorno e cucendo borsellini di notte.
Trascorse i primi anni della sua vitasotto i bombardamenti, nel 1945 il suo ritorno in Italia e il ricongiungimento con il resto della famiglia. Bologna era distrutta. Questa esperienza devastante lo segnerà per tutta la vita.
horst a 18 anniHorst a 18 anni

Tentò un riscatto nel pugilato, e nel ciclismo che praticò con ottimi risultati, vincendo gare regionali.
Era anche un brillante studente, amante della lettura, con ottimi voti nelle materie umanistiche e in disegno.
A causa delle condizioni economiche non agiate della famiglia, sovrapponendo studi e lavoro venne assunto fin dal compimento di 14 anni, come fattorino, operaio, impiegato. Ma la misera paga e le condizioni umilianti di lavoro, lo indussero ad abbandonare la vita del salariato per altre ambizioni. Prima del "grande salto" compì una serie di furtarelli di biciclette e moto, poi automobili. Fu fatalmente attratto dalla vicenda della Banda Bonnot.
A 18 anni si sposò con Anna che ne aveva soltanto 17; per garantire alla sua famigliola condizioni dignitose, ma anche la prima vacanza al mare dopo anni di ristrettezze, compì una rapina con una pistola giocattolo all'ufficio postale di Corticella. Venne arrestato sull'automobile rubata, gli vennero inflitti 5 anni di carcere. Era il 1960.
Nel 1965 durante una licenza concepì il secondo figlio, ma a causa delle avverse condizioni, Anna che soffriva di problemi di salute lo lasciò per tornare nella sua città, Napoli, dove venne ricoverata per cure.
Horst di nuovo in libertà definitiva lavorò per qualche tempo come pizzaiolo e barista, ma tornò a rapinare le banche: fu la volta di una banca di Genova. Non riuscì, perché venne arrestato prima di compiere il colpo.
Trascorse qualche mese in galera, durante i quali apprese che la madre era morta per infarto, ma non gli consentirono di andare al suo funerale. Horst decise di evadere per la prima volta usando il più classico dei modi: lenzuola annodate. E decise che non avrebbe avuto mai più ripensamenti: ecco perché e come diventò rapinatore.
Era il 1967, da mesi latitante, compì numerosi colpi nel nord Italia, durante uno dei quali, dispiaciutosi per una cassiera svenuta (il giorno seguente gli inviò un mazzo di rose tramite un'agenzia di spedizioni) diventò "il bandito gentile"; poi decise di espatriare rifugiandosi dai parenti in Germania.
Tra il 1967 e il 1968 scrisse lettere di scherno alla polizia italiana, gli venne affibbiato il nomignolo di "primula rossa". Cosa faceva il pericoloso bandito ricercato dalle polizie di mezza Europa? Appena raggiunse Parigi, andò al Louvre per vedere la Gioconda. Risiedeva a Mannheim in una lussuosa villa con la sua giovane compagna... dandy raffinato, elegantissimo, alla guida di macchine sportive, faceva la spola tra Francia, Germania e Italia incassando parecchi milioni che portava con sé nei voli aerei in prima classe.
Nel 1968 fu di nuovo arrestato, mentre cercava di rapinare una banca di Saint Tropez. Trascorse alcuni anni torturato e vessato nelle galere francesi (dove vigevano regole particolarmente inumane, alcuni detenuti furono ghigliottinati dopo una rivolta particolarmente violenta aClairveaux), fu rinchiuso nelle Baumettes a Marsiglia, tentò ancora di evadere ad Aix en Provence con le catene ai polsi. Il "fratellino di Van Gogh" non corse più per molto tempo. Da allora le porte della gabbia si chiusero definitivamente: da quel momento non avrà mai più la libertà definitiva.
Horst continuava a sfottere i giudici "gli ermellini da guardia" durante le udienze, e per questo aggiunsero altri (molti) anni alla sua carcerazione.
Nel 1972 per interessamento dell'avvocato Mario Giulio Leone venne estradato in Italia ritrovando sua moglie e i suoi figli, nel 1973 tentò di evadere dal carcere di Fossano (Cuneo) ferendo tre guardie e tenendone sotto tiro altre due, ma era un bluff: in realtà aveva soltanto una Mauser di piccolo calibro, con pochissimi colpi in canna dei quali solo due rimasti dopo il ferimento degli sbirri. Invece per lui si scatenò l'inferno: uscendo dal carcere con gli ostaggi, prima di riuscire a salire sull'agognata Giulietta che lo porterà fuori dalle mura, venne aggredito dai cani lupo e ferito quasi mortalmente con il fuoco dei tiratori scelti, si salvò per miracolo proprio grazie ad un cane che gli si parò davanti. Rimase sordo dall'orecchio destro, e probabilmente con micro-lesioni tali da causare l'aneurisma che gli risulterà fatale.
Venne operato, ma non gli estrassero tutti i proiettili, che si porterà in corpo per molti anni in una miriade di schegge e scheggine. Iniziò un calvario fra i penitenziari di tutta Italia, Horst "desaparecido" venne tenuto in infermerie poi dimesso e spedito in un altro penitenziario, poi in un altro ancora, senza cure adeguate e senza avvertire la famiglia e talvolta nemmeno l'avvocato. Leggi la testimonianza di Sabatino Catapano.
horst a sulmonaHorst a Sulmona nel 1974
Un anno dopo a Sulmona, nel 1974, tentò di evadere di nuovo. Saltò il muro di cinta di cinque metri, coi piedi fratturati si trascinò nella chiesa più vicina sequestrando il prete, per chiedere in cambio di essere operato.
Proprio in quell'anno, 1974, nel carcere di Alessandria una rivolta venne stroncata nel sangue, con sette detenuti uccisi e 14 feriti: collaudo di una stagione di pugno di ferro.
Nel 1975 Giorgio Bertani editore di Verona, grazie all'interessamento di Franca Rame (Soccorso Rosso) pubblicò "Ormai è fatta!, cronaca di un'evasione" (recentemente ripubblicato da El Paso - Nautilus) resoconto minuzioso e lucidissimo di quel 23 luglio 1973 a Fossano, scritto da Horst con una macchina per scrivere in sole 48 ore. Al racconto di Horst venne aggiunta una bellissima appendice di poesie che egli da sempre scriveva in cella.
Libero Fantazzini a Bologna affrontò a muso duro vari giornalisti forcaioli, e occupò la Torre degli Asinelli per protestare contro lo Stato che imprigionava i compagni.
Erano anni intensi, di solidarietà coi prigionieri; gli anarchici e molti compagni comunisti si mobilitarono per Fantazzini. La sua compagna di allora Valeria Vecchi fu condannata a 7 anni di carcere per avere tentato di farlo evadere, e altri compagni dei collettivi di supporto ai detenuti subirono pesanti condanne. Anche la tennista anarchica Monica Giorgi rimase vittima di una feroce repressione, accusata di far parte di "Azione Rivoluzionaria", poi assolta con formula piena.
A metà degli anni '70 grazie al generale Dalla Chiesa inaugurò il bunker Fornelli dell'Asinara, dove vennero spediti tutti i ribelli, comunisti e anarchici. Iniziò una collaborazione con tutti i compagni anche delle Brigate Rosse e di Prima Linea, basata sull'amicizia e sulla solidarietà di prigionieri nella situazione contingente. La leggenda poi riportata dai giornali, che Horst sarebbe stato simpatizzante delle Brigate Rosse è falsa: si avvicinò ai suoi militanti come uomo, ne era ideologicamente troppo lontano e mai sposò la loro causa, ritenendosi sempre anarchico individualista.
Nel 1978 dopo il feroce pestaggio della polizia che lo ridusse quasi in coma, fece uscire clandestinamente e senza attendere il parere delle Brigate Rosse il documento sulla rivolta dell'Asinara, poi pubblicato dalle edizioni "Anarchismo" col titolo: "Speciale Asinara".
Condivise un importante periodo di prigionia con Sante Notarnicola. Seguirono anni di carcere duro e di rivolte con le "moka esplosive" che facevano breccia nei muri, nei penitenziari di tutta Italia, da Trani a Termini Imerese, da Palmi a Varese, carcere reso più "morbido" solo nel 1985 con l'abolizione del regime speciale (simile al 41 bis odierno).
Il pentitismo dilagante e l'eroina diffusa anche fra compagni portarono, in un decennio, allo sgretolamento di lotte, esistenze, pulsioni, corrispondenze e passioni, più di quanto riuscirono a farlo i metodi coercitivi più cruenti.
Horst era contro le tossicodipendenze ("chi ha la siringa piantata al posto del cervello") e si dichiarò in varie occasioni contro il pentitismo e i suoi fautori (con una serie di poesie molto amare) e ribaltando un motto carcerario, affermò: "Sino a quando un uomo non si rassegna è ancora recuperabile".
Nel 1985 suo figlio maggiore venne incarcerato per quasi due anni sulla parola di un balordo; il grande vecchio Libero Fantazzini non resse il colpo e morì (la crudeltà dell'apparato repressivo non consentì a Horst di andare al suo funerale); la sua compagna Maria Zazzi, anarchica piacentina combattente della guerra di Spagna, lo seguirà nel 1993. 
bologna, durante una licenza, 1989
Bologna, durante una licenza, 1989
Nel 1989 Horst che non aveva mai perso il coraggio e la voglia di vivere, studiava nel carcere di Busto Arsizio e stava per laurearsi in Letteratura presso la facoltà di Bologna;ma l'antico amore per la fuga vinse quello sui libri e lo indusse ad approfittare di una licenza per allontanarsi. Resterà latitante per un anno, ripreso all'inizio del 1991 sul litorale romano (nonostante l'arresto sia avvenuto senza resistenza da parte sua, mentre portava i cani a passeggio, venne dipinto dal "Messaggero" come pericoloso terrorista) e trasferito nel carcere di Alessandria, dopo un inutile tentativo di strappargli una confessione, qui rimarrà per dieci anni, mantenendo corrispondenze, supportando tesi di laurea e progetti di altri detenuti, e scrivendo bellissimi racconti al computer che si guadagnò nel 1995 coi soldi del primo premio per un concorso letterario (racconto "L'uomo cancellato"). Lavorava come grafico pubblicitario per il Comune di Alessandria e produsse ottimi elaborati, locandine, panphlet, ma soprattutto disegni di fantasia che vennero esposti in alcune mostre a Bologna ed altre città. Fu proprio nel carcere di Alessandria che iniziò la sua relazione con Patrizia Diamante "Pralina" (come racconta "L'ultimo colpo di Horst Fantazzini" e l'articolo pubblicato da "Ristretti Orizzonti").
Varie vicende giudiziarie causate da un processo fondato su un teorema accusatorio, che ipotizzava la sua partecipazione ad una fantomatica formazione eversiva, impedirono che ottenesse le prime licenze.
Nel 1999 fu trasferito a Bologna, la libertà si avvicinava per merito di un film: "Ormai è fatta!" (regia di Enzo Monteleone) liberamente tratto dal suo libro, di cui Horst approvò la sceneggiatura, e di una campagna per la sua liberazione messa in atto dalla sua ultima compagna, Pralina (fondatrice del Comitato per la liberazione di Horst Fantazzini) e dal figlio maggiore, che coinvolse tutto il movimento anarchico e portò la storia di Horst a conoscenza di molte persone. Molti giornalisti intervistarono Horst, l'intervista più lunga e completa fu realizzata per una puntata del Maurizio Costanzo Show, qui viene proposta la versione integrale. Riportiamo qui anche le interviste pubblicate sui settimanali Boxer e Avvenimenti, quest'ultima fu poi mandata in onda su TeleMontecarlo. Case editrici importanti s'interessarono della ripubblicazione del suo libro, che Horst avrebbe riproposto volentieri con una grossa casa editrice come Feltrinelli, Einaudi o Baldini&Castoldi. Anche alla Dozza le condizioni di carcerazione sono difficili, i metodi arbitrari: gli venne rifiutato un lavoro. Horst accettò per un certo periodo di fare parte della redazione di "May day", e con la sua esperienza di grafico impaginatore produsse magnifici elaborati per la tipografia dei detenuti, come il libro di ricette di cucina a tiratura limitata "Un curioso viaggio tra cibo e cultura".
horst in via roncrio, bolognaBologna, via Roncrio, marzo 2001

Il suo avvocato Luca Petrucci raccogliendo l'istanza di Horst, inoltrò la richiesta di grazia. Uscirono varie interviste. Ci furono due interrogazioni parlamentari, una a cura di Ersilia Salvato, l'altra di Paolo Cento. Gli vennero concesse leprime licenze. Poi la semilibertà. Abitava insieme a Pralina e circondato dai suoi cari, nella casa in via Roncrioche costruì suo padre Libero. Difficile trovargli un lavoro, poiché considerato un "soggetto poco affidabile" anche dai suoi stessi compagni di fede che lo guardavano con simpatia ma anche con diffidenza.
pralina e horstPralina e Horst, maggio 2001
Ad ogni modo nel 2001 per interessamento dei "compagni comunisti" lavorava come magazziniere presso Altercoop, che si occupa di carta riciclata. Un lavoro dignitoso e stimato dai colleghi, ma che per regolamento non era remunerato dalla cooperativa bensì dagli stessi carcerieri (i quali spesso lo facevano aspettare per riscuotere lo stipendio), certamente inadatto alle sue condizioni fisiche e alla sua propensione, fantasia e straordinaria abilità tecnica a usare il computer, ma era l'unico lavoro disponibile ed era, soprattutto, l'unica condizione per uscire dal carcere.Nonostante il vigore fisico e lo spirito incandescente che Horst conservava, dopo tanti anni di carcerazione, le sue condizioni di salute subirono un netto, progressivo peggioramento. Non avendo il diritto ad avere un medico della mutua, poiché tutto per un semilibero passa attraverso l'istituto penitenziario, non gli era possibile farsi prescrivere farmaci da "esterno", e l'ipotesi di venire ricoverato poteva tradursi in un piantonamento in ospedale, oppure, in un ritorno in cella.
Il 19 dicembre 2001 tentò di rapinare la sua ultima banca, che in realtà era stata una delle prime, quella Agricola e Mantovana di Porta Mascarella, insieme al suo complice C.T., suo "fratello" e amico di sempre. Venne preso prima di entrare nell'agenzia, paludato da un bavero rialzato e un berretto calato, mentre tentava una disperata fuga in bicicletta, nelle sue tasche un cutter e un collant... nel giro di poche ore con una violenza incredibile venne distrutto quel fragile sogno costruito con amore... perquisita la sua abitazione, sbattuto in carcere con sospetto di "terrorismo", alla sua compagna -perché non erano sposati ufficialmente- oltre allo shock indescrivibile, si aggiunse un altro problema non facilmente risolvibile, per raggiungerlo a colloquio: quello di definire la sua posizione davanti al giudice. Ma non ci fu tempo per aspettare il responso che avrebbe ricongiunto i due amanti: con le feste natalizie vengono chiusi i verbali dei burocrati.
horst, la sua ultima fotoBologna 19 dicembre 2001foto segnaletica
Nonostante non sia avvenuto alcun pestaggio (i lividi sul corpo erano causati dalla sua fragilità capillare) le condizioni di salute aggravate dallo stress dell'arresto lo portarono rapidamente alla morte, sopraggiunta nell'infermeria della Dozza, il 24 dicembre alle 19.20 per aneurisma aortico addominale.
Durante l'udienza del processo per direttissima che confermò l'arresto, al suo avvocato, sapendosi alla fine, aveva detto che voleva "lasciare la casa a Pralina".
funerali in forma civile con musica e bandiere (come aveva chiesto) vennero celebrati alla Certosa di Bologna, il 29 dicembre 2001, mentre alla stessa ora, avveniva un presidio di protesta sotto il carcere della Dozza.
Venne cremato, per suo espresso desiderio: l'unico che fu rispettato.
La sua vicenda giudiziaria, per una serie interminabile di procedimenti in corso, aggravati da "finalità di terrorismo", senza contare il resto delle condanne con aggiunta di altri anni di carcerazione che avrebbero potuto comminargli, (secondo verbali del Ministero dell'Interno, reperiti da Enzo Monteleone nel 1999) nel febbraio 2.017 era stabilito il "fine pena". Per ipotetica somma si sarebbe potuto arrivare al 2.024, ma Horst ha deciso di evadere una volta per tutte.


fonte: horstfantazzini.net

giovedì 26 luglio 2012

la tomba senza nome di Rita Atria












    Di Rino Giacalone


C’è una tomba in Italia dove da 20 anni non c’è scritto il nome di chi vi è sepolto. C’è la foto, ma il nome no. Solo per poco tempo vi fu una lapide, c’era scritto Rita Atria, la giovane testimone di giustizia morta suicida a Roma il 26 luglio 1992, sconvolta dalla strage che le aveva ucciso quello che considerava il suo nuovo padre, Paolo Borsellino. Ma la mamma della giovane, vedova di mafia, andò presto a distruggere quella lapide. Giovanna Cannova continuò a rinnegare la figlia Rita ripudiata per essere diventata testimone. Aveva 17 anni quando a Borsellino, Rita Atria svelò l’incredibile conoscenza della mafiosità che respirava. Suo padre, Vito Atria, era uno di quelli che passava per “ntiso” nel suo paese, Partanna, Valle del Belice, provincia di Trapani; “don” Vito era un mafioso vecchio stampo, faceva parte di quella mafia che già allora parlava con la politica e che però non voleva sporcarsi le mani con la droga e a quell’epoca significava mettersi contro i corleonesi che invece stavano riempendo il Trapanese di “raffinerie” di eroina.
Don Vito Atria aveva 45 anni quando lo ammazzarono nel 1985. Passarono sei anni e toccò la stessa sorte a Nicola Atria, figlio di don Vito e fratello di Rita. Era il 1991 e una sera il sostituto procuratore di Marsala,Alessandra Camassa, ricevette una telefonata dal suo capo, il procuratore Paolo Borsellino: “Mi disse – ricorda il magistrato – che l’indomani di buon mattino dovevo essere in ufficio per ascoltare una persona”. Era Rita Atria, che invece di cercare vendetta scelse la giustizia. Ma presto accadde altro: “Lei – ricorda ancora il giudice Camassa – che scopre un nuovo mondo fatto di legalità e lealtà, non si fa più guidare dallo spirito di vendetta, ma dalla voglia di cambiare, dalla voglia di vedere altre donne denunciare e rifiutare la mafia”. Rita Atria puntò il dito contro mafiosi e politici che si sedevano con i mafiosi.
Accusò l’allora sindaco, Vincenzino Culicchia, che uscì assolto al processo, ottantenne. E’ ancora in politica, è vicepresidente della Provincia di Trapani, e sostiene, politicamente il pm che allora lo accusò, massimo Russo, oggi assessore alla Sanità e candidato in pectore a sostituire il presidente della Regione, Lombardo. Il Comune di Partanna, dopo anni di silenzi, ha deciso di seguire ufficialmente la manifestazione indetta oggi pomeriggio da Libera. Se sarà una partecipazione vera lo si saprà non appena ci sarà da decidere come risolvere il problema di quella tomba senza nome.
Sullo sfondo di questa storia resta un mondo politico che, in generale, resta sordo ai richiami lasciati da Rita Atria. “Qui – dice il pm Andrea Tarondo- c’è una politica che continua a stringere mani che non dovrebbe stringere, che non rispetta la distanza di sicurezza dalla mafia e, peggio ancora, c’è chi nelle istituzioni non si preoccupa nemmeno di evitare che ministri stringano mani che non dovrebbero stringere”.
Appena lunedì scorso, a Trapani, è arrivato il Ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, per firmare un protocollo contro mafia e corruzione. Accanto a lei, un sindaco condannato per favoreggiamento e il presidente della Provincia, Turano, che di recente – in Tribunale – ha esternato franchezza dicendo di sapere, alla pari di tanti altri, che la Sanità trapanese era governata dall’ex andreottiano Pino Gianmarinaro, politico “chiacchierato”, senza però spiegare come mai si è accettata quella “inquinante presenza”. Il ministro Cancellieri, assieme al ministro dei Beni Culturali, Ornaghi, è stata vista in giro per la città in compagnia del senatore Antonio D’Alì, l’uomo che, secondo la Dda, aiuto Matteo Messina Denaro e che – dal 5 ottobre – sarà sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa.
Il nome di Rita Atria, se non potrà esserci ancora sulla tomba, ci sarà sui terreni confiscati a Messina Denaro e che nel nome di Rita torneranno produttivi.


Il Fatto Quotidiano 26/luglio/2012

giovedì 19 luglio 2012

qualcuno si è perso


Qualcuno si è perso
E aveva il sole buttato dentro una borsa
E una sorella che odorava di rosmarino
I fratelli, invece, di fichi e uva.
Qualcuno si è perso
In promesse sbagliate
Gridate da un ponte ferroviario
Con parole fumate dietro mille sigarette
E alcol leccato sulle proprie mani.
Qualcuno si è perso
In un cesto di orgoglio sfilacciato
In una culla di solitudine.
Illusa da un cielo
A cui voltava le spalle.
Qualcuno si è perso
Quando la casa di paura è crollata
E ai figli sono rimasti vetri nel cuore.
Qualcuno si è perso
Vendendo inutili bugie
E speranze di seconda mano
Nelle sue mattine colorate solo di whisky
Qualcuno si è perso
Lasciandomi complice di inferni condivisi
E carceriere delle sue ali infrante.

un buon programma


1.   Vogliamo la libertà, vogliamo il potere di determinare il destino della nostra comunità nera
2.   Vogliamo piena occupazione per la nostra gente
3.   Vogliamo la fine della rapina della nostra comunità nera da parte dell'uomo bianco
4.   Vogliamo abitazioni decenti, adatte a esseri umani
5.   Vogliamo per la nostra gente un'istruzione che smascheri la vera natura di questa società americana decadente. Vogliamo un'istruzione che ci insegni la nostra vera storia e il nostro ruolo nella società attuale
6.   Vogliamo che tutti gli uomini neri siano esentati dal servizio militare
7.   Vogliamo la fine immediata della brutalità della polizia e dell'assassinio della gente nera
8.   Vogliamo la libertà per tutti gli uomini neri detenuti nelle prigioni e nelle carceri federali, statali, di contea e municipali
9.   Vogliamo che tutta la gente nera rinviata a giudizio sia giudicata in tribunale da una giuria di loro pari o da gente delle comunità nere, come è previsto dalla costituzione degli Stati Uniti
    10. Vogliamo terra, pane, abitazioni, istruzione, vestiti, giustizia e pace

Questo il programma in 10 punti del Black Panther Party. Come per i Nativi americani, nessun punto è stato realizzato dal governo. In compenso, fu data via libera alla mafia, affinchè invadesse i ghetti neri di eroina e riducesse i membri più deboli allo stato larvale. Per chi oppose resistenza, ci fu il carcere duro o l’esilio.

Nel ricordo di Angela Davis, Huey P. Newton, Bobby Seale, Fred Hampton, i Fratelli di Soledad…….

Se vuoi saperne di più, un buon film di Mario Van Peebles: Panther, tratto dalla biografia di suo padre, militante delle Pantere Nere e regista afroamericano.

mercoledì 18 luglio 2012

ecchisenefrega

sono tornato, vacanza finita
innamorato ancora, dentro questo mare.
"vacante" in palermitano è "vuoto".
le mie sono state vacanze palermitane.