di Darwin
Pastorin
Abbiamo rivisto il
dottor Socrates: la solita barba incolta, la solita sigaretta, il solito
sguardo intelligente aperto sulle meraviglie e sulle miserie del mondo. Il
dottor Socrates, oggi, a San Paolo del Brasile, gioca a pallone soltanto con
gli amici («sempre più rari, sempre più cari», per dirla con Giovanni Arpino):
si dedica, piuttosto, a curare i bambini poveri e a mettere alla gogna il
pallone degli affari e degli scandali dalle colonne della prestigiosa rivista
«Placar». Socrates è stato, nel variegato circo calcistico, un personaggio
unico. Un libero pensatore, un filosofo, un uomo schierato a sinistra. Quando
giocava nel Corinthians paulista fu il principale artefice della
"democrazia corintiana": il primo tentativo di gestire una squadra in
maniera sindacale, collettiva. A decidere la formazione erano i giocatori,
riuniti in assemblea. Socrates giocava al football in maniera strepitosa: alto,
magro, aveva nel colpo di tacco la sua specialità. Un quotidiano brasiliano
titolò a nove colonne: "Ecco il tacco che la palla chiese a Dio". Nel
mundial di Spagna dell'82, nella fatidica sfida del Sarrià contro gli azzurri
del rinato Pablito Rossi, realizzò una rete a Zoff. Alla fine, disse soltanto:
«E' una sconfitta, non un dramma. I drammi nella vita sono altri». E parlò
delle favelas, dei bambini e delle bambine di strada, del "sertao"
(la zona incoltivabile del Nordeste). Venne anche in Italia, nella Fiorentina.
Nessuno lo capì: troppo sincero, troppo vero. Soprattutto quando andava nei
circoli operai di Firenze a parlare di Marx e di letteratura, di Carlos
Drummond de Andrade e di lotta contadina, dell'Amazzonia umiliata. Nel
Flamengo, al fianco di Zico, si è tolto le ultime soddisfazioni di una carriera
ricca di tante verità e di poche contraddizioni. Adesso, passeggia per le
strade insidiose di San Paolo incontrando, nei bar e nei parchi, la gente
comune. Il discorso parte dal futebol e dal carnevale per andare oltre: verso i
problemi di chi, giorno dopo giorno, combatte il match della vita, per un pezzo
di pane, per un piatto di riso. Come servirebbe un dottor Socrates in Italia,
qui da noi, tra le nostre ipocrisie e il nostro quotidiano malessere. Come
servirebbero le sue parole: forti e nel contempo leggero. Parole che raccontano
gli uomini: con dignità, con amore.
12 maggio 2001
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