maria, angelina e rosalia di girolamo

martedì 6 marzo 2012

Garrincha - l'angelo dalle gambe storte


Quella di Garrincha è una storia triste, ma anche unica nel suo genere. E' la storia di come un bimbo pelleossa e dalla schiena storta che cresce tra i fiumi e le foreste tropicali dello stato Brasiliano del Pau grande diviene, in pochi anni, una figura mitologica dello sport più amato del mondo . E’ la storia di un bambino che passa tutta la sua giornata tra alberi e fiumiciattoli, cacciando e pescando come un vero abitante della giungla. Sin dalla più tenera la sorellina Rosa ravvisa l'incredibile somiglianza di Manuel con un passerotto che vive in quelle zone , il "garrincha" (o cambaxirra), nomignolo che gli resterà incollato per tutta la vita...






 “ Capitano, quando la giochiamo la partita di ritorno? ”
           Garrincha, rivolgendosi ad un compagno dopo la vittoriosa finale contro la Svezia (1958)




La vita di Manoel è quella di un bimbo che vive in stato semi-selvatico, dedito alla droga, all'alcool (che poi sarà la sua rovina) e al tabagismo. Il pallone sembra essere la sua unica via di fuga: fin dalla più tenera età questo giovanotto dimostra una naturale abilità con la sfera ai piedi, specialmente nel gesto tecnico del dribbling. Nessuno, neanche i ragazzini più grandi, riescono a togliergli la palla.
A 12 anni Manoel, in terza media, smise agli studi, e qualche anno dopo cominciò a fare i primi lavoretti. A 16 anni iniziò a lavorare in una fabbrica tessile del luogo: tanto nel lavoro era disordinato e indisciplinato quanto era straordinario nella squadra amatoriale della fabbrica. Inizialmente venne schierato trequartista, ma poi fu subito spostato sulla fascia destra, la sua vera casa.
In pochi mesi Manoel è sulla bocca di tutti, e gli osservatori delle squadre locali cominciano ad accorgersi di lui. Molto giovane, neanche maggiorenne, viene ingaggiato dal Cruzeiro do Sul di Petrolis e, dopo un anno gioca nel Serrano.
Manoel se la ride.
Un episodio risalente a questi anni ne dimostra tanto l'abilità quanto la popolarità acquisita; durante una partita tra Grêmio de Raiz da Serra e Pau Grande, Garrincha, che non aveva disputato un buon primo tempo, venne ripetutamente insultato dai giocatori avversari. Nella seconda parte dell'incontro, iniziata con il punteggio di 0-0, dribblò l'intera squadra rivale partendo dalla propria area di rigore ed effettuò un assist finalizzato poi da un compagno; un giocatore irritato lo fermò con un fallo, subendo non solo un'espulsione, ma anche un tentativo di linciaggio da parte dei suoi stessi tifosi, i quali nutrivano grande ammirazione per Garrincha nonostante fosse un giocatore del club opposto; la partita terminò 6-0 per il Pau Grande. 
Il tempo passa, e Garrincha ha ormai 18 anni: le sue abilità calcistiche sono ormai emerse quasi del tutto, ma il giovane non sembra interessato ad una carriera da professionista. Sono i suoi amici che lo costringono a fare provini per diverse squadre. Il primo provino "serio" lo realizzò con il Vasco da Gama, ma non venne preso perché si era scordato gli scarpini a casa. Fallì anche i provini con il Sao Cristovao e la Fluminense. Non si impegnava Garrincha, per lui il calcio non era un lavoro, ma il suo hobby: sul rettangolo di gioco esprimeva tutta il suo estro, la sua genialità, la sua indole da giocoliere. Nel 1951, a 19 anni, la sua vita cambiò radicalmente. Manoel fece un provino con il Botafogo: dopo aver impressionato nella squadra riserve, l'allenatore di quest’ultima decise di fare un test prima squadra vs. squadre riserve, con Garrincha militante in quest'ultima. Il suo diretto avversario era lo straordinario terzino sinistro Nilton Santos, leader del Botafogo e della Nazionale Brasiliana, uno dei terzini brasiliani più forti di sempre. Durante la partita Garrincha umiliò ripetutamente Nilton , sgusciandogli via diverse volte e, addirittura, condendosi il lusso di fargli diversi tunnel. Nilton Santos rimase così colpito da questo giovanotto che, si dice, andò a parlare direttamente con il presidente chiedendogli di tesserarlo. Ebbe così inizio la carriera professionistica di Manoel Francisco dos Santos, al secolo "Garrincha" o "Manè". E pensare, che secondo i medici, lui non avrebbe mai potuto giocare a calcio. Il suo referto medico doveva risultare più o meno così:

Le gambe di Garrincha.
" (…)il giovane è affetto da un leggero strabismo, ha la spina dorsale deformata, uno sbilanciamento del bacino, sei centimetri di differenza in lunghezza tra le gambe; il ginocchio destro affetto da varismo mentre il sinistro da valgismo nonostante un intervento chirurgico correttivo. Per via di tale malformazione — dovuta probabilmente alla poliomielite o alla malnutrizione — il giovane Manoel Francisco dos Santos è dunque dichiarato invalido, e gli è assolutamente sconsigliata ogni tipo di attività fisica agonistica, come il calcio".

Quanto si sbagliavano. Quello che era il suo difetto divenne invece suo punto di forza. La sua finta con la gamba più corta divenne leggendaria, e non c'era avversario che riuscisse a fermarlo con le buone o le cattive . Sulla fascia destra era una vera furia: un tripudio di finte, controfinte, tunnel, rabone, elastici e chi più ne ha più ne metta. Garrincha ERA il dribbling, l'espressione di fantasia più naturale del calcio. Ma non era solo questo.
Oltre al dribbling il Brasiliano era anche un giocatore molto rapido, agilissimo, con un tiro di destro molto potente e preciso, e un cross perfetto. Era un’ala destra e anche centravanti, all'occorrenza. In 581 presenze con il Botafogo, raccolte nell'arco di dodici anni, mise a segno qualcosa come 232 reti: un'enormità per un'ala pura come lui . Era anche un'incredibile tiratore di punizioni e di calcio d'angolo, che calciava spesso con l’esterno del piede, imprimendo grande effetto e traiettorie imprevedibili al pallone. Gli unici suoi punti deboli erano probabilmente di natura tattica ed è questo il motivo per cui l'allenatore del Botafogo Joao Soldanha lo vincolava da limiti tattici, lasciandolo libero di fare quel che voleva sul terreno di gioco.

La carriera in nazionale di Garrincha fu altrettanto impressionante. Con lui e Pelé in campo la nazionale Brasiliana non perse mai: in 40 partite giocate assieme 35 furono quelle vinte e 5 le pareggiate. 
Garrincha con Pelé
Il Mondiale del 1958, che lo consacrò, lo vide saltare le prime due partite per futili motivi (si parla di razzismo da parte di alcuni  dirigenti brasiliani, secondo i quali i giocatori bianchi erano più "adatti" ad affrontare alcuni avversari più educati tatticamente): le ultime partite però Garrincha le giocò da titolare. E diede spettacolo. Nei match in cui scese il campo lasciò subito il segno, saltando avversari come birilli e facendo diversi assist decisivi (come i due al centravanti ava nella finalissima contro la Svezia).
Dopo la partita vincente contro la nazionale scandinava , mentre tutti i compagni piangevano dalla gioia tranne Garrincha, totalmente confuso e non cosciente di quanto stava accadendo, chiese al capitano della squadra “ma quando la giochiamo la partita di ritorno?”

Dopo la partita contro il Galles, il terzino che marcò Garrincha affermò:
« Credo che fosse più pericoloso di Pelé a quel tempo. Era un fenomeno, capace di pura magia.
Era difficile capire in quale direzione stesse andando per via delle sue gambe e perché era a suo agio col piede sinistro come con il destro, quindi era in grado di tagliare verso l'interno o andare verso il fondo e, inoltre, possedeva un tiro tremendo. "

L'apice della carriera de Il Chaplin del calcio e Alegria do Povo (Allegria del Popolo) , come era conosciuto all’epoca , fu raggiunto però nel successivo mondiale, nel 1962. Pelé, la stella più lucente del Brasile, si infortunò all'esordio dopo diversi interventi tremendi.
Fu quindi questo il mondiale di Garrincha, che trascinò il Brasile alla vittoria della Coppa del Mondo a suon di goal e assist , figurando inoltre anche capocannoniere e miglior giocatore della competizione. Durante la partita contro la Cecoslovacchia fu addirittura predisposta per lui una tripla marcatura a uomo, cosa mai vista fino a quel momento. Fu tutto inutile: la stella di Garrincha rifulse come non mai. Probabilmente, insieme a Maradona, è il giocatore che seppe fornire prestazioni individuali così determinanti da permettere alla squadra l’ agognata vittoria della Coppa del Mondo.
Garrincha al mondiale 1962
Un curioso episodio, relativo a questi anni, rivela probabilmente la vera natura di Garrincha: si dice che l’allora presidente Brasiliano (altre fonti parlano del governatore di Rio) , dopo la prestigiosa vittoria della nazionale, decise di convocare tutti i giocatori per complimentarsi con loro personalmente e sommergerli di regali: c’è chi chiese una macchina, chi soldi, chi una casa. Arrivò il turno di Garrincha. “Allora, cosa ti piacerebbe avere?” gli chiese il presidente. Garrincha ci pensò su, poi guardò un uccellino rinchiuso in una gabbia che il presidente teneva nel suo studio.“Signor Presidente, mi piacerebbe tanto che liberasse quell’uccellino (alcune voci dicono fosse proprio un “garrincha”, uccellino da cui prende il nome il giocatore). Sì, questo è il mio desiderio”.

Se è vero che la carriera di Garrincha fu straordinaria sotto ogni punto di vista non tanto si può dire della sua vita privata. Manoel si portò appresso tutti i vizi che avevano caratterizzato la sua gioventù: l'alcool e il fumo su tutti. La sua vita sentimentale ed economica fu burrascosa.

Telmo Zanini afferma nel suo "Manè Garrincha":
"Mané Garrincha visse i suoi ultimi venti anni totalmente avulso dalla società. Affondò nell'alcolismo, restò incapace di rapportarsi con ognuno dei quattordici figli che lasciò sparsi  per il mondo. Bistrattato dalle compagne, sveniva per le porte delle osterie, dormiva per i marciapiedi, era accolto da omosessuali e sopravviveva solamente grazie ai favori e  alla filantropia del potere pubblico".

Garrincha, qui 46enne, concede un'intervista
Garrincha era nato per giocare a calcio e, una volta smesso, i vecchi problemi riemersero. Non era una persona cattiva o egoista; mentalmente si disse che era come un bimbo di 10 anni, e come tale agiva...non spinto da sentimenti egoistici ma da curiosità, ed ingannarlo e sfruttarlo era un gioco da ragazzi. Non era sicuramente in grado di badare a se stesso, e ben presto fu dimenticato da tutti. Dopo aver bevuto per tre giorni di fila un’ edema polmonare se lo portò via nel 1983.

Manoel Francisco Dos Santos, al secolo Garrincha, più di ogni altro giocatore fu amato dai brasiliani per la sua ingenuità, per il suo sorriso sincero, perché il calcio era stato al tempo stesso la sua salvezza e condanna. Concludo con un proverbio Brasiliano: "ancora oggi, se chiedi ad un vecchio Brasiliano chi è Pelè, il vecchio si toglie il cappello, in segno di ammirazione e di gratitudine. Ma se gli parli di Garrincha, il vecchio chiede scusa, abbassa gli occhi e piange."







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Alcune informazioni e citazioni sono state prese da wikipedia.

1 commento:

  1. Hai reso onore ad un mito del calcio che tu hai il merito di avermi fatto conoscere e amare...peccato che non sono mai riuscita a trovare il libro di Darwin Pastorin su Manè!

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