maria, angelina e rosalia di girolamo

lunedì 23 aprile 2012

il cane che andava per mare - stefano malatesta

Marina Corta (Lipari)Marina Corta (Lipari)Marina Corta (Lipari)La sensibilità olfattiva di Jack era da un milione a cento milioni di volte più forte di quella di un essere umano. In questo non aveva nulla di speciale. Negli anni Cinquanta un famoso esperto canino pubblicò degli articoli in cui faceva un parallelo tra l’olfatto dei cani e quelli degli uomini. Aveva scoperto che la distanza che passava tra l’umido tartufo di un qualsiasi bastardo e il più aristocratico dei nostri nasi era incommensurabile.
L’unicità di Jack non stava nell’intensità, ma nella selezione. Sapeva sempre quando il battello in avvicinamento era un ferry e non un aliscafo, ancor prima che avesse virato per entrare nell’insenatura sotto la rocca. E non si sbagliava mai sulla destinazione. Lo si capiva dalla sicurezza con cui s’imbarcava, subito dopo l’attracco, come se conoscesse a memoria gli orari. Non voglio azzardare nessuna ipotesi parascientifica in proposito. La vita di Jack non è riducibile a comportamenti da laboratorio.
Non era uno di quei cani che alle Eolie te li ritrovi sempre sui moli, scodinzoloni e uggiolanti, o famelici, in cerca di qualsiasi cosa da masticare e da ingoiare in fretta. E quindi sempre in movimento. Per quasi tutta la giornata, Jack dormiva sotto il ponte di Marina Corta, a Lipari, di fronte alle barche che dondolano in attesa dei turisti. Era troppo superiore agli altri cani per imbrancarsi con loro e mostrare cordialità o animazione. Ma anche nel sonno, il suo naso lavorava per lui come fosse un’entità indipendente, mandando al cervello segnali molto particolari su quello che stava succedendo in un raggio non disprezzabile. Una volta qualcuno, davanti ad alcuni amici scettici, avvicinò una radio accesa al suo corpaccio muscoloso e immobile, steso sulla rena. Gli occhi di Jack rimasero chiusi, non un solo muscolo vibrò. Ma quando gli fecero ballonzolare sul suo testone una salsiccia calda comprata dal rosticcere, lo scatto per agguantarla e farla sparire fu il movimento più fulmineo che si fosse mai visto.
Aveva sempre vissuto da quelle parti: il sottoponte, la piazza di Marina Corta, gli uffici delle ditte di navigazione, i due pontili di attracco. E si può dire che fosse nato senza padrone. Noi crediamo stupidamente che nei cani la ricerca di un padrone sia un segno di sottomissione, indice di una natura prona e servile. Mentre loro sono spinti dal divertimento e dal piacere di iniziare una relazione che durerà tutta la vita. Il padrone può essere un personaggio umanamente interessante e volenteroso, ma dal punto di vista animale molto più interessante è la libertà di esplorare, di fiutare nuovi odori e di andare a zonzo. Jack come ho detto, non aveva padroni. E gli piaceva enormemente andare a zonzo, quando non dormiva. Da buon cane siciliano, passava da un estremo all’altro.
Non tornava da qualcuno, ma in un certo senso tornava a casa. Le storie di cani che tornano a casa da soli, percorrendo centinaia di chilometri, sono innumerevoli. Studiosi tedeschi, grandi esperti in comportamenti canini, hanno dei dubbi che un fiuto extra, insieme con la capacità di memorizzare il paesaggio e le strade, siano sufficienti a spiegare questi viaggi prodigiosi. Secondo loro ci deve essere qualcos’altro, un fattore sconosciuto, come un radar che li orienti, simile a quello che hanno i pipistrelli. Un apparato che non funzionerebbe come le onde radio, ma servendosi di vibrazioni legate in qualche modo al sentimento. Onde d’amore, di struggente nostalgia per il focolare.
E’ un interpretazione poetica, poco convincente perché fondata sul sentimentalismo degli uomini. I cani non sono sentimentali e Jack lo era meno di tutti. Quello che noi chiamiamo amore tra cane e uomo è qualcosa di primario che appartiene al caso. Il cane non s’innamora delle tue qualità, perché sei bello, simpatico, intelligente o buono. Succede che inciampa sui tuoi piedi e per questa ragione nasce un legame che non ha paragoni per intensità, nettezza e assenza di sfumature. Da questo legame ne ricava pura gioia o pura amarezza. Dipende da te. Lui non conosce i gradi intermedi.
Forse i cani tornano perché sentono il bisogno di ricostituire un equilibrio di rapporti che hanno perso. Ma questo non spiega nulla sul come riescano a tornare. La singolarità di Jack stava nel fatto che viaggiava per viaggiare e dimostrava la disinvoltura del vero viaggiatore che non dà molta importanza ai ritardi o ai prosaici inconvenienti che infastidiscono il turista. Io l’ho conosciuto tardi, un anno prima che morisse, intravisto la prima volta più che visto nella solita piazza di Marina Corta. Non ero rimasto incantato dal suo aspetto di duro da strada tra il mastino e il bulldog, razze che non sono tra le mie favorite. Si muoveva lentamente, come trattenesse la sua potenza, con l’andamento dinoccolato e consapevole che avevano i pugili di una volta, senza dare occhiate né a destra né a sinistra. Sembrava che non s’interessasse a nulla, ma era solo una finta. Tutti sapevano che controllava perfettamente la sua zona e che aveva dei riflessi da bestia abituata allo scontro improvviso.
Cominciai a raccogliere informazioni più complete su di lui qualche tempo dopo la sua morte stoica, risalendo all’indietro lungo la sua breve, inimitabile vita canina. Il mio informatore è stato il mio amico Luigi, il più entusiasta spacciatore di innocue frottole che allietavano le dolci serate di settembre, quando i caffè all’aperto tornavano a essere il tranquillo luogo d’incontro di Lipari. Luigi portava le stampelle, ma pochi minuti dopo averlo conosciuto, ti dimenticavi che gli servivano per sostenerlo. Si muoveva con l’agilità di un acrobata, con estrema leggerezza, come se fosse sempre in sospensione e mentre volteggiava intorno a te, salutava nuovi venuti, fermava ragazze sconosciute che stavano attraversando la piazza e continuava a raccontarti fatti inauditi che erano successi solo a lui, agitando in aria quei bastoni di ferro, diventati nelle sue mani uno strumento indispensabile per la narrazione.
Ma su Jack, si sentiva che non stava inventando. Doveva aver amato molto questo cane, credo per il suo spirito d’indipendenza  e perché si era fatto strada superando lo svantaggio iniziale di non avere un padrone e trasformandolo in una ragione di forza, esattamente come lui. Quando chiamai Jack un cane randagio, mi rispose con tono sarcastico, assolutamente raro, che quello era stato un cane che si poteva definire in numerosi modi. Ma non si poteva chiamare randagio chi girava per piacere e non per necessità.
Era stato un pescatore di Lipari a trovarlo, ancora cucciolo, ma già sicuro di sé. Il pescatore aveva una moglie – sarebbe più esatto dire che quella donna aveva anche un marito. Come tutte le eoliane, era allenata a mantenere la famiglia, in assenza di uomini sempre in mare o emigrati in Australia. Per lei un cucciolo era solo un fastidio, un animale che sporcava, di nessuna utilità. Jack venne portato a Marina Corta e lasciato sotto il ponte, dove c’è la rimessa invernale delle barche. Gli etologi hanno dato l’efficace nome di imprinting a quel fenomeno di impressione indelebile che si stampa nell’anima vergine degli animali appena nati. Una visione di qualcuno, breve ma intensissima, e il cucciolo è condizionato per tutta la vita. L’anima di Jack, che aveva quasi un mese, rimase impressionata non da un essere vivente, ma da un paesaggio, in cui il mare e i suoi illimitati confini avevano una parte dominante. Così la pensava Luigi, anche se non aveva mai sentito parlare di imprinting – ma il concetto era lo stesso. L’immagine dell’isolotto con i due moli, collegato con l’isola da tempo immemorabile, le ombre delle barche dei pescatori di totani che salpavano di notte, gli aliscafi che si alzavano e si afflosciavano sui pattini al momento della manovra, la rocca che guardava il mare e dominava la piazza, e le bellezze lontane che s’intuivano dietro un orizzonte bluastro: tutto questo venne assorbito in qualche frazione di minuto. Quella era la sua casa e non ci fu posto per niente altro.
Quando raggiunse la robustezza che gli competeva, Jack salì per primo su una passerella gettata sul pontile da un marinaio e andò a sedersi a poppa, all’aperto tra i bagagli dei turisti. Per qualche settimana venne aiutato da un equivoco che la sua tranquilla sicurezza e intuitiva conoscenza della pianta dei battelli rendeva possibile. I marinai pensavano che fosse un cane ben educato di qualche passeggero. I passeggeri amanti dei cani credevano di accarezzare il cane del capitano e quelli non amanti dei cani lo ignoravano. Qualcuno lo prese per un ausiliare della Guardia di Finanza, anche se non andava mai ad annusare in giro, comportandosi con riservatezza. Perché non dava mai confidenza. E all’arrivo scivolava via, forse un po’ troppo in fretta, prima che si accorgessero che non aveva padrone.
All’inizio seguiva il variegato circuito delle Eolie. L’unico paese dove non ha mai posato le sue zampone dinoccolate è Ginostra. Qui lo sbarco si svolge con il rollo – la barca che si accosta ondeggiando al battello, messosi controvento, mentre il marinaio aiuta i viaggiatori a scendere lungo una scaletta – e prendere in braccio Jack sarebbe stata una manovra impossibile. Ma si presentava con regolarità in tutti gli altri attracchi e con regolarità ripartiva. La scoperta della sua vocazione di cane marinaio da parte delle autorità competenti era arrivata troppo tardi perché le medesime autorità fossero in grado di prendere dei provvedimenti cosiddetti restrittivi, come qualcuno aveva invocato. In un raro lampo di intuizione e di buon senso, si convinsero che un cane così tranquillo, che non dava fastidio a nessuno e che si comportava meglio di molti passeggeri, poteva rappresentare una curiosità, a uso dei turisti. Non erano tutti amanti dei cani?
Raccontandomi i vagabondaggi di Jack, Luigi disse che l’aveva incontrato più di una volta in compagnia di qualche cagnetta, anche in località all’interno delle isole. E che l’area delle sue incursioni si era estesa fino a Napoli, città in cui aveva sicuramente qualche stretta conoscenza. Dunque viaggiava anche di notte, per lunghi percorsi, in una nave sgangherata, con delle cabine di prima classe allegre come le stanze di un riformatorio, dove per puro sadismo servivano panini fetenti. Ma dove si facevano scrupolo di essere severi con i cani, allontanati dai padroni – “motivi d’igiene” spiegavano i commissari – e rinchiusi in minuscoli gabbiotti inventati da un torturatore. Come riusciva Jack a mantenere il suo status di libero clandestino?
Forse la sua disinvoltura e il suo spirito indipendente dovevano colpire tutti quelli che incontrava. Si capiva subito che era un cane fuori della norma e che aveva comportamenti non omologhi a quelli degli altri esseri della sua stirpe. Era capace di cambiare atteggiamento se giudicava che l’ambiente potesse essere potenzialmente ostile, cercando di passare inosservato e sempre guardando apaticamente nel vuoto, come se stesse interpretando la parte di un soldato leggermente traumatizzato dalla guerra. Era una delle sue figurazioni più riuscite. Ma non si spingeva mai a leccare le mani che lo carezzavano, come avrebbe fatto un qualunque suo simile. Non era il solito fedele Fido, che sta dalla tua nella prosperità e nella miseria, nella salute e nella malattia e ti leccherà sempre la mano anche quando questa è vuota.
Per quanto lungo fosse il viaggio, alla fine rientrava sempre nel suo territorio, la piazza di Marina Corta, di nuovo un campione di placida insolenza, avendo in eccesso quella che si chiama padronanza di sé. Non tollerava intrusioni da parte di qualsiasi animale ed era veloce con le zanne. Sapeva però distinguere un semplice quattro zampe – e che cos’è l’intelligenza se non un continuo distinguo? – da un quattro zampe con una potente protezione e quando scendeva dalla rocca Jim, un cagnone bolso di razza moscia, accompagnato dal padrone, l’ex sindaco di Lipari, Jack si voltava dall’altra parte. Lo lasciava passare ma non lo voleva vedere.
Un giorno scomparve, ma nessuno se ne preoccupò. Se c’era un cane che sapeva badare a se stesso, questo era Jack, fin dai tempi in cui i marinai e i pescatori gli lasciavano avanzi di pesce e pezzi di polipo anche gustosi, che lui nemmeno toccava. Quando ricomparve in piazza, era dimagrito di sei o sette chili, barcollava e gli era venuto uno sgradevole rictus, che gli faceva digrignare o mostrare i denti a intervalli regolari, senza motivo. Fu chiamato un veterinario che solo dopo una settimana riuscì a visitarlo, perché il cane, diventato quasi scheletrico, non voleva farsi toccare. Il veterinario disse che con quel male che aveva dentro doveva essere già morto e tutti si convinsero allora che se la sarebbe cavata. Invece Jack aveva un altro programma e un mattino di agosto, già umido e senza speranza, si tuffò in acqua da uno dei due moli – nuotava benissimo – allontanandosi per una cinquantina di metri. Poi ruotò la testa verso la piazza, come il periscopio di un sommergibile e si lasciò affondare. Ho chiesto a Luigi se si ricordava un caso simile a questo. Mi rispose che un emigrato, molti anni prima, aveva portato dal Brasile un pappagallo per il figlio piccolo. Quando il ragazzo morì, il pappagallo, che non aveva mai volato, infilò la finestra, perdendosi nel mare e venne ritrovato sulla spiaggia delle cave di pomice con un’ala già divorata dai granchi.


Tratto da: “il cane che andava per mare” ed: neri pozza 2000

1 commento:

  1. Chi, possedendo un cane, può negare la sua superiorità morale rispetto all'uomo?
    Commuove questo brano che hai postato, caro Baldo.
    Grazie, credo che cercherò il libro :)
    Ciao!
    Lara

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